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Volatilità dei mercati: "Siate sempre ben diversificati e contrarian"

La volatilità sui mercati era attesa da tempo e la maggior parte degli investitori istituzionali si era già mossa per attutirne l'impatto. Ora, cosa aspettarsi nelle prossime settimane? Intervista a Laura Tardino, Head of Institutional Business Development Aberdeen Standard Investments per l'Italia.

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Ilaria Sangregorio

1. L’inizio del 2018 ha visto un ritorno della volatilità sui mercati, con gli investitori internazionali preoccupati dall’incremento del costo del lavoro USA e degli ultimi dati sull’inflazione della prima economia mondiale. Ora, cosa aspettarsi nelle prossime settimane?

Dopo 15 mesi consecutivi di rialzi, lo scorso febbraio è arrivata la prima correzione sul mercato azionario US ed è stato subito contagio! Non accadeva dal 1950 (anche se da allora tante cose sono cambiate): la “globalizzazione” e la “digitalizzazione” concorrono oggi ad amplificare gli effetti di una fisiologica correzione di mercato rendendola in poche ore di portata eccezionale.
Difficile dire se ricapiterà, poiché anche se l’economia e gli utili rimangono forti, l’inflazione sebbene sia in salita - complici anche un dollaro debole e le materie prime in ripresa - è “strutturalmente” in affanno. Pensando ai nove anni di rendimenti eccezionali alle nostre spalle, conviene tuttavia prepararsi agli effetti che il profit-taking degli investitori più impazienti potrebbero riportare sui mercati nei prossimi mesi, facendo attenzione, più del solito, a quello che si ha in portafoglio.

Un consiglio generale e sempre valido è quello di essere sempre ben diversificati e di essere contrarian: abbiate il coraggio di vendere quando le cose vanno bene e di comprare quando vanno male, ovvero quando i mercati scendono, e non il contrario.

2. Da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca le quotazioni del dollaro Usa hanno perso circa il 20% del loro valore rispetto all’euro. Che motivazioni vedete legate a questo movimento e quali ricadute vi potrebbero essere per la ripresa congiunturale europea?

Sul deprezzamento del dollaro si è letto un po’ di tutto. Prima era “colpa” della Fed cui si addossava la responsabilità di essere ancora troppo accomodante, successivamente si è passati a Trump ed alla sua credibilità. Nel frattempo sia la Fed che Trump hanno dimostrato di essere sufficientemente incisivi con tassi e riforme. Certamente il momentum macro e microeconomico ha iniziato nel frattempo a favorire la zona Euro e contestualmente sono venute meno alcune paure di non poco peso (effetti della Brexit e degli NPL sul settore bancario solo per citare i più importanti).

Resta il fatto che un euro forte non è particolarmente salutare per le esportazioni europee e Mario Draghi ha già manifestato la sua contrarietà. Resta da vedere cosa potrà fare.

3. Parlando di asset allocation, come siete posizionati a livello di Outlook per il 2018?

Siamo positivi sugli Stati Uniti. A gennaio il FMI non ha potuto fare a meno di rivedere al rialzo le stime della crescita globale, che grazie soprattutto agli Stati Uniti -passati per il momento da 2.3 % a 2.7 nel 2018 e da 1.8% a 2.2 nel 2019- sta trascinando il ciclo in Europa e negli storici partner commerciali come Messico e Brasile.

La riforma fiscale, il mercato del lavoro, gli investimenti: un buon mix di politiche economiche abilmente condotte nel corso degli ultimi anni e di cui (per il momento) non si sono materializzate le controindicazioni grazie alla pacatezza di una FED che ha imparato molto dalla lezione di quel lontano maggio 2013 e che ha salutato la sua prima direttrice dopo 4 anni ed il primo mandato rosa.

Janet Yellen ha lasciato la Fed con i fed funds a 1.25-1.5 ed un tasso di disoccupazione al 4.1%. Un’America in buona forma come testimoniato dalla stagione degli utili dell’ultimo quarter del 2017 che, sebbene in pieno svolgimento, conferma che delle 185 società dell’S&P500 che hanno già pubblicato i bilanci, circa l’81% ha battuto le stime e che la crescita di utili e fatturati per il trimestre si attesta rispettivamente al 13.7 e al 7.4% rispetto all’anno precedente. E non è finita, perché secondo le proiezioni di Factset gli utili continueranno a crescere.

La normalizzazione della politica monetaria di alcune Banche Centrali sarà accompagnata dunque ancora per qualche mese da revisioni al rialzo della crescita in presenza di tassi bassi in termini assoluti, in cui gli investitori potrebbero ancora beneficiare dei trend che hanno dominato i mercati in questi ultimi mesi. Certamente potrebbe aumentare la volatilità.

Siamo ancora a favore degli attivi rischiosi (le azioni europee ed emergenti mostrano le valutazioni meno care, ma non dimentichiamo che in un contesto di maggiore volatilità quelle americane hanno un ruolo più difensivo ed inoltre potrebbero continuare a beneficiare della riforma fiscale di Trump, leggevo sulla stampa che molto del denaro risparmiato verrà investito anche in buy back per miliardi e miliardi di dollari).

Per quanto riguarda il mercato del credito le obbligazioni governative core sono molto care e rischiose. Preferiamo il credito delle aziende ed il debito emergente.

4. Il futuro è ancora “emergente”?

I paesi emergenti (tanti e molto diversi tra di loro) continueranno a crescere e a sostenere il GDP mondiale. Le banche centrali in molti di essi hanno ancora ampio spazio di manovra, in caso di bisogno, mentre i governi procedono con importanti riforme. Le valutazioni in molti casi sia per i mercati azionari che per quelli obbligazionari risultano interessanti e le valute domestiche stabili. La lontananza e l’eterogeneità di questa importante parte del mondo richiede un approccio negli investimenti molto cauto senza fai da te, per evitare brutte sorprese nel pricing delle emissioni acquistate o nella performance.

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