Nel 2018 la volatilità è tornata alla riscossa dopo anni di relativa calma sui mercati finanziari. Quanto al 2019 questa instabilità potrebbe continuare, se non addirittura intensificarsi.
E’ quanto previsto da Martyn Hole (nella foto), Investment Director di Capital Group, secondo il quale i fattori di incertezza che hanno alimentato il ritorno della volatilità sono ancora validi.
“È previsto che nel 2019 la volatilità persista e potenzialmente si intensifichi, alla luce dell’incremento dei tassi di interesse, dell’intensificazione delle controversie commerciali globali e dell’aumento dei livelli di debito. Queste potenti forze si stanno alleando per sovvertire i mercati globali e tenere gli investitori sulle spine”, ha commentato il gestore in occasione della presentazione dell’outlook 2019 della casa della casa di gestione.
L’esperto ha riassunto i temi potenzialmente più importanti per i mercati utilizzando una delle ultime lettere dell’alfabeto: la T. Vediamo nel dettaglio il perché.
Ci sono diversi fattori di instabilità, ma per Hole le tre “T” sono quelli con il maggiore impatto:
L’inasprimento della politica monetaria della Fed statunitense si sta riverberando sullo scenario mondiale.
Martyn Hole, Investment Director di Capital Group
“Si prevede che nel corso del 2019 la Fed continui ad aumentare i tassi di interesse a breve termine in risposta a una solida economia statunitense, un mercato del lavoro ristretto e un moderato aumento dell’inflazione. Ciò avviene in un momento in cui il debito sovrano, societario e dei consumatori sono tutti in netto aumento. Una cosa era chiedere prestiti quando i tassi si attestavano a livelli storicamente bassi, ma oggi il contesto è completamento diverso”, ha spiegato Hole.
Allo stesso tempo, il commercio globale è salito alla ribalta in un momento in cui gli Stati Uniti, la Cina, l’Europa (e non solo) tentano di riscriverne le regole a proprio favore. “È importante sottolineare che queste schermaglie commerciali potrebbero protrarsi per lungo tempo – ha aggiunto il manager di Capital Group -. Si tratta di una situazione in continua evoluzione che terremo attentamente monitorata per tutto l’anno”.
Siamo presumibilmente alla fine del gioco, ma c’è sempre la possibilità di fasi aggiuntive. Questi cicli possono durare a lungo. Tutto dipende dai fondamentali.
Guardando alle prospettive per il 2019, le principali economie hanno imboccato percorsi di crescita divergenti – in netto contrasto con la crescita globale sincronizzata dell’inizio del 2018. Mentre gli USA godono di buoni tassi, in Cina e in
Europa la crescita sta subendo un notevole rallentamento. Questa diversità aggiunge un nuovo tassello di incertezza al quadro economico globale. Ciò nonostante, le proiezioni del FMI vedono un tasso di crescita globale ragionevolmente solido del 3,7% per il 2019.
Gli investitori continuano tuttavia a porsi una domanda: a che punto del ciclo economico ci troviamo? Alla luce del livello di disoccupazione più basso in 49 anni, dell’accelerazione della crescita dei salari, dell’incremento delle
pressioni inflazionistiche e della politica di inasprimento della Fed, gli USA sono entrati in una fase avanzata del ciclo. Le economie sviluppate sembrano trovarsi o avvicinarsi ad una fase avanzata, mentre la situazione dei Mercati Emergenti è più eterogenea.
È inutile girarci intorno: le azioni statunitensi sono diventate costose. Persino dopo ondate di volatilità destabilizzante nel 2018, l’indice Standard & Poor’s 500 Composite ha guadagnato circa il 400% dall’inizio del mercato rialzista, nel marzo 2009. Sebbene negli ultimi anni gli utili societari siano saliti di pari passo con i prezzi azionari, le valutazioni sono aumentate considerevolmente.
Al 30 novembre, il rapporto prezzo/utili (P/E) previsto per l’indice S&P era a 15,3 – un valore elevato rispetto agli standard storici. Benché i risultati passati non siano indicativi di quelli futuri, la storia suggerisce che gli investitori potrebbero voler rivedere le aspettative di utile con il tempo.
Ciò premesso, una piccola manciata di società innovative nel settore tecnologico e dei beni di consumo hanno generato buona parte del rendimento del mercato (il rivenditore online Amazon ha guadagnato circa il 2.700% dalla fine dell’ultima fase ribassista), lasciando le valutazioni in altre aree del mercato a livelli più modesti.
Ovviamente, dato che molte altre società hanno prospettive di crescita più modeste e vista la probabilità di un’elevata volatilità, investire in modo selettivo sarà essenziale.
Un calendario fitto di problemi politici continua ad offuscare l’orizzonte dell’Europa. I negoziati sulla Brexit sono entrati in una fase decisiva. Sebbene lo scenario più probabile veda il Regno Unito e l’UE raggiungere un accordo per l’uscita, c’è ancora il rischio che il Paese abbandoni l’Unione senza un’intesa. L’Italia è troppo importante per essere ignorata e troppo grande per un salvataggio.
La domanda è: in che modo l’UE combatte con l’attuale governo populista della nazione che spinge per ottenere un maggiore margine fiscale? I partiti populisti nazionali in tutta Europa potrebbero sovvertire i partiti tradizionali alle elezioni per il Parlamento europeo nel maggio 2019.
La BCE ha interrotto il suo programma di QE alla fine del 2018 e i tassi di interesse dovrebbero restare immutati fino all’estate 2019. Se l’andamento della crescita e dell’inflazione si atterrà alle aspettative, la BCE probabilmente effettuerà un modesto aumento dei tassi a fine 2019. Benché la Bank of England propenda per l’inasprimento, l’incertezza riguardante la Brexit dovrebbe ritardare un’eventuale
decisione in tal senso fino a quando verrà raggiunta una maggiore chiarezza sui rapporti del Paese con l’UE.
Si potrebbe essere preoccupati riguardo all’aumento dei tassi di interesse statunitensi, all’instabilità politica in Europa o alle pressioni deflazionistiche in Giappone. Questi fattori meritano di essere in cima alla lista dei 10 timori degli investitori per il 2019.
Ma ecco il più importante: il rallentamento dell’economia cinese e il suo impatto sul resto del mondo, in particolare sulle altre nazioni emergenti che forniscono le materie prime necessarie per supportare la crescita della Cina.
Una disputa commerciale dirompente con gli Stati Uniti non migliorerà la situazione. L’economia cinese sta ancora crescendo a un ritmo discreto del 6,5% (annualizzato), secondo i dati ufficiali. Tuttavia, è ben al di sotto della crescita a doppia cifra registrata solo pochi anni fa e ci sono segnali di maggiori difficoltà in arrivo.
La spesa al consumo, la produzione, la crescita del credito e il mercato immobiliare stanno tutti mostrando segnali di debolezza con l’avvicinarsi del nuovo anno. Se queste tendenze proseguiranno, le difficoltà economiche della Cina potrebbero esportare una maggiore volatilità in altre parti del mondo.
Le azioni dei Mercati Emergenti hanno affrontato alcune difficoltà durante l’intero 2018, colpite da problematiche specifiche di Paese, dall’aumento dei tassi statunitensi, dalla forza del dollaro USA, da un contesto di crescita globale meno positivo e dalle incertezze commerciali globali.
Anche se potremmo aspettarci una persistente volatilità nei Mercati Emergenti alla luce dell’aumento dei tassi USA, delle tensioni commerciali e di questioni idiosincratiche in vari Paesi, ci sono diversi motivi per rimanere ottimisti nei confronti dell’asset class. Il contesto globale dovrebbe rimanere favorevole con l’allentamento della politica monetaria in Cina e lo stimolo fiscale proveniente dagli USA.
Al contempo, le autorità giapponesi ed europee sembrano non avere fretta di applicare inasprimenti visto che l’inflazione rimane molto bassa. Le prospettive per gli utili societari nei Mercati Emergenti si confermano solide e la crescita dei profitti in aggregato dovrebbe raggiungere tassi a doppia cifra nel 2019.
Gli investitori obbligazionari dovrebbero temere la Fed statunitense? La prospettiva di incremento dei rendimenti alla luce del rialzo dei tassi da parte della Fed potrebbe continuare a spaventare alcuni investitori, ma forse non dovrebbe. Nonostante una disoccupazione attestatasi intorno al 4% per buona parte del 2018, la recente inflazione è stata più debole di quanto ampiamente previsto.
Alla fine del 2018 i prezzi del mercato indicavano che la Fed prevedesse un unico rialzo per il 2019, sebbene le previsioni siano state molto altalenanti per via della volatilità. La cosa essenziale per gli investitori obbligazionari, tuttavia, è che i rendimenti dei Treasury USA a breve termine siano già aumentati in misura significativa. I mercati del credito sono tutta un’altra storia.
Gli spread – i differenziali tra il rendimento sul credito e sui titoli di Stato USA – sono rimasti ridotti rispetto agli standard storici. Per gli investitori obbligazionari ciò significa che la remunerazione per essersi assunti il rischio creditizio è relativamente bassa e il miglioramento rispetto ai livelli attuali potrebbe essere piuttosto limitato.
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