Le prime settimane di giugno hanno visto il nuovo Governo incassare il voto di fiducia alla Camera e al Senato. Con il via libera concesso dal Parlamento, per il nuovo esecutivo e iniziato così il tempo del "fare" dopo quello del "dire".
Uno dei temi più caldi sul tavolo del Governo guidato dal neo-premier Giuseppe Conte rimane quello delle pensioni su cui l’impianto della riforma sembra ormai confermato: quota 100, ovvero almeno 64 anni di età e 36 di contributi, e quota 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva indipendentemente dall’età anagrafica ma c’è molta incertezza sui costi e sulle coperture. Secondo il Governo una tale riforma costerebbe 5 miliardi all’anno, una stima molto ottimistica se confrontata con i 15 miliardi stimati dal Presidente dell’INPS Tito Boeri.
Tra le ipotesi per reperire le coperture necessarie ci sarebbe quella di tagliare le pensioni superiori ai 5 mila euro mensili e i vitalizi degli ex parlamentari e consiglieri regionali.
Oggi la pensione di vecchiaia matura con 67 anni di età e almeno 20 di anzianità contributiva, l’introduzione di quota 100 farebbe quindi anticipare di tre anni l’uscita dal lavoro (64 contro i 67).
Una riflessione e un dubbio in merito:
Il rischio incostituzionalità
Quando si parla di "taglio delle pensioni" bisogna stare molto attenti a non confondere chi la pensione se l’è guadagnata versando fior di contributi e chi invece l’ha avuta in dono versando pochi euro.
Chi percepisce una pensione di 10.000 euro mensili? Di certo non un lavoratore autonomo o un libero professionista (basti guardare le dichiarazioni dei redditi medi di questi lavoratori) ma può essere solo un lavoratore dipendente, un dirigente d’azienda che di contributi ne ha versati tanti.
Prendiamo ad esempio un soggetto che ha lavorato 10 anni come impiegato e gli ultimi 30 come dirigente con una retribuzione media reale lorda di 250.000 euro. Negli ultimi 25 anni i contributi versati sarebbero pari a 2.475.000 euro, ossia 250.000 x 33% (aliquota contributiva) X 30 anni (senza contare la contribuzione versata come impiegato) a cui corrisponde una pensione annua lorda di circa 140.000 euro.
Una pensione pagata con i contributi versati che nessuna Corte Costituzionale potrà mai toccare. Diverso è il discorso che riguarda le pensioni agli ex parlamentari e consiglieri vari. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa che grida giustizia da sempre e che non può essere difeso dietro i così detti "diritti acquisiti".
Il rischio beffa
La proposta sembrerebbe quella di ricalcolare con il sistema contributivo le pensioni superiori ai 5 mila euro netti mensili per eliminare lo squilibrio tra contributi versati e prestazioni erogate, uno squilibrio che secondo una ricerca realizzata da "Tabula - futuro e previdenza" in media si può stimare tra un 5% e 6%. In pratica una pensione di 10.000 euro lordi al mese subirebbe un taglio di circa 284 euro (il 4,9%) passando da 5.834 euro netti a circa 5.553.
Ammesso che per le pensioni degli ex parlamentari e consiglieri arrivi il via libera della Consulta, la beffa è dietro l’angolo perché se la flat tax diventasse realtà il taglio della pensione sarebbe ampiamente compensato dalla minore imposta.
Sempre nello studio di "Tabula - futuro e previdenza", un pensionato che percepisce un assegno di 5.800 euro al mese subirebbe un taglio di 284 euro, ma ne risparmierebbe 1.958 di tasse. In sostanza, la sua pensione aumenterebbe di 1.674 euro.
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