Pianificazione previdenziale

Perché c’è poca attenzione da parte degli intermediari alla pensione dei liberi professionisti?

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Giuseppe Guttadauro

La pensione è un tema con cui tutti alla fine dovremo confrontarci, l’argomento più gettonato nei talk show televisivi e dalla carta stampata, suscitando l’interesse del cittadino che richiede sempre maggiori informazioni (corrette).

Le riforme che si sono succedute dagli anni ’90 a oggi hanno apportato profondi cambiamenti normativi per garantire la sostenibilità del sistema che oggi non è più in grado di erogare livelli di prestazioni come nel passato.

Tutto ciò avrebbe dovuto dare impulso e sviluppo alle forme di previdenza complementare che invece a oggi contano poco più del 30% dei potenziali aderenti. In particolare, fa riflettere il dato di adesioni da parte dei liberi professionisti: sul totale complessivo degli iscritti (quasi otto milioni) meno del 5% è rappresentato da liberi professionisti. Eppure si tratta di un target molto interessante per gli intermediari perché a maggior “rischio pensione” rispetto ad altri. Un così basso tasso d’adesione indica che quando si parla di previdenza gli addetti ai lavori si concentrano principalmente sui lavoratori assicurati presso l’INPS: dipendenti, artigiani, commercianti, coltivatori diretti e iscritti alla gestione separata, un target sicuramente interessante più da un punto di vista numerico (oltre 22 milioni) che di bisogno previdenziale.


Per quale motivo c’è poca attenzione previdenziale verso i liberi professionisti?

Certamente gioca un ruolo importante la poca conoscenza del sistema previdenziale delle Casse di previdenza dei liberi professionisti. L’INPS ha regole (requisiti, contributi, sistema di calcolo) che sono le stesse per tutti gli iscritti, mentre per i liberi professionisti sono differenti da Cassa a Cassa: la Cassa forense (avvocati) ha un regolamento diverso da quello dell’ENPAF (farmacisti), la stessa cosa vale per l’ENPAM (medici), piuttosto che per INARCASSA (ingegneri e architetti) e così via.

I liberi professionisti, come abbiamo detto, dovrebbero rappresentare il target clienti più interessante per gli intermediari, per una ragione molto semplice: la riforma Fornero ha avuto impatti diretti sugli assicurati INPS ma ha richiesto alle Casse dei liberi professionisti la sostenibilità finanziaria a 50 anni per mantenere la propria autonomia. Questo ha costretto le Casse a deliberare importanti riforme elevando i requisiti pensionistici e, soprattutto, introducendo il sistema di calcolo contributivo basato esclusivamente sui contributi versati e non più sui redditi dichiarati.

Se pensiamo che l’aliquota contributiva media prevista dalle Casse varia tra un 10% e un 15% il risultato è scontato: in futuro il tasso di sostituzione (rapporto tra prima rata di pensione e ultimo reddito) medio di un libero professionista non potrà che posizionarsi tra un 25% e un 30% dell’ultimo reddito.

Da ultimo, ma non per importanza, diverse Casse hanno offerto ai loro iscritti la possibilità di versare un contributo facoltativo (detto modulare) proprio per incrementare il montante contributivo finale e, conseguentemente, contare su una pensione più alta.

Peccato che la pensione maturata con la contribuzione modulare sia considerata reddito da lavoro dipendente e come tale soggetta alla tassazione ordinaria.

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