Il Rapporto Censis, giunto alla 53° edizione, analizza ed interpreta le tendenze socio-economiche più rilevanti degli ultimi anni, come quelle demografiche del Paese e le sfide che le trasformazioni e i nuovi equilibri della società comportano sul sistema welfare italiano .
Confermato un invecchiamento significativo della popolazione, il sistema è pronto a farvi fronte?
Un primo dato estremamente rilevante è che secondo l’elaborazione del Censis sulla base dei dati Istat, il rapporto tra under 35 e over 64 vedrà un superamento di questi ultimi, che costituiranno il 31,6% della popolazione contro il 31,2% degli under 35.
Questo non stupisce se si osserva il fenomeno demografico degli ultimi decenni. Nel 1999 gli under 35 costituivano il 42,8% del totale, mentre nel 2019 ben il 9% in meno. Questo è dovuto ad un calo delle nascite ma anche ad un esodo dei giovani all’estero, aumentato dal 2017 del 226,8%.
Per contro, il la popolazione è sempre più longeva, con un aumento degli over 64 in vent’anni del 5%, di cui ad oggi il 27,7% è rappresentato da over 80.
La buona notizia inoltre, è che l’aspettativa di vita alla nascita si allunga e nel 2041 si stima che arriverà a 88,1 anni per le donne e a 83,9 anni per gli uomini.
Questi nuovi equilibri demografici si ripercuotono inevitabilmente sul sistema welfare, chiamato ad affrontare importanti sfide sia sul fronte della salute che della pensione.
Sembra quasi scontato; una popolazione più anziana è maggiormente soggetta innanzitutto al rischio della non autosufficienza, dato confermato dai dati emersi nel rapporto:
+ 25% delle persone non autosufficienti dal 2008 (di cui l’80,8% ha più di 65 anni)
il 20,8% degli anziani risulta non autosufficiente.
Su questo fronte, gli italiani sono soddisfatti dai servizi offerti dall’assistenza pubblica o le conseguenze della non autosufficienza gravano anche sulle famiglie?
Dal rapporto emerge che il 56% degli italiani si dichiara non soddisfatto dai principali servizi socio-sanitari presenti nella propria regione, con il peso delle cure e del sostegno economico che ricade in gran parte direttamente sui medesimi.
In genere, infatti, nella terza e quarta età l’entrata economica principale, se non l’unica per i più, è rappresentata dalla pensione pubblica, purtroppo troppo bassa per far fronte a ciò che la non autosufficienza comporta nella vita di una persona. Ma più in generale, la maggior parte delle volte la pensione pubblica è troppo bassa per garantire un tenore di vita adeguato.
Proprio con ciò si apre la seconda grande sfida che una popolazione che invecchia comporta sul sistema welfare: la pensione pubblica. Da un lato la sostenibilità di un sistema pensionistico a ripartizione e dall’altro pensioni che non coprono il reddito goduto da lavoratori e che lasciano scoperta una fetta piuttosto rilevante delle entrate economiche nella vita di un pensionato.
Se la popolazione invecchia e nello stesso tempo cresce l‘inoccupazione, il rapporto tra pensionati e lavoratori entra inevitabilmente in crisi, motivo alla base dell’introduzione del metodo di calcolo contributivo della pensione e di uscite dal mondo del lavoro sempre più avanzate.
Sul punto il Paese è diviso: se per il 43,2% degli italiani l’età di pensionamento deve essere parametrata alla speranza di vita, il 45,2% ha un’opinione esattamente opposta.
Di fatto, però, pensionamenti più rigidi rappresentano una scelta obbligata.
Ecco che una pensione pubblica calcolata in base ai contributi versati nel corso della carriera anziché sulla base della retribuzione degli ultimi anni di lavoro si prospetta meno generosa, soprattutto per le generazioni più giovani, anche alla luce del mutato contesto occupazionale.
Fortunatamente c’è la soluzione: la previdenza integrativa, forma di risparmio finalizzato proprio ad integrare la pensione pubblica a tutela del proprio tenore di vita.
Anche se ad oggi meno del 35% della platea potenziale è iscritta ad un fondo pensione, gli incentivi per farlo ci sono tutti, da un regime fiscale agevolato, alle flessibilità e tutele dello strumento.
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