Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza. Stephen Hawking, Oxford, 8 gennaio 1942 – Cambridge, 14 marzo 2018 - cosmologo, fisico, matematico e astrofisico britannico
Abbiamo davanti a noi degli anni importantissimi per consentire al nostro Bel Paese una ferma stabilità ed ottenere una solida forza. Saranno anni in cui sarà determinante sfruttare una capacità - indotta o automatica che sia – che nessuno in Europa possiede e che è indubbiamente una prerogativa italiana: il risparmio.
Sarà stato l’effetto prolungato di rendimenti sicuri delle obbligazioni governative e nello stesso tempo una capillare diffusione degli istituti bancari (abbiamo avuto anche la più alta densità di sportelli e di personale bancario dell’intero continente) che ha favorito un meccanismo istintivo e spontaneo e che ha prodotto in generale ricchezza e conseguentemente una solidità del sistema bancario davvero senza eguali.
Vogliamo forse dilapidare un uso automaticamente inconscio e inconsapevole dei risparmiatori, dando semplicemente la colpa alla crisi che ha fatto arrivare in picchiata i rendimenti (i Bot addirittura in terreno negativo), ha messo sottosopra perfino istituti tradizionali con una lunga storia e potrebbe aver minato la fiducia attraverso scandali e malaffare?
La soluzione sarebbe sulla carta già pronta da un tempo lontano: l’educazione finanziaria. Tutti ne parlano, tutti fanno progetti, qualcuno addirittura vorrebbe farne un business. Eppure non c’è nulla di così concreto da aver indotto i risparmiatori a rivedere le proprie strategie. Arrivare a queste conclusioni non servono sofisticate ricerche. Basterebbe infatti vedere i flussi degli investimenti - ancor oggi in mano per una parte determinante agli istituti di credito tradizionale - e scoprire che gli stessi investimenti rimangono ancora ancorati a scelte ormai superate, che non si adatterebbero alle attuali condizioni di mercato e che ruotano attorno a spaventose concentrazioni a dir poco fuori da ogni logica. Insomma gli italiani sono un popolo che ignora i principi dell’economia, hanno un sistema bancario divenuto repentinamente obsoleto, pachidermico e tristemente disorganizzato e preferiscono il mordi-e-fuggi ad una banalissima programmazione per obiettivi.
In un mondo allora che cambia rapidamente, sarebbe sulla carta auspicabile una significativa mutazione delle abitudini che si stanno tramutando (ahinoi) in errori grossolani. Non basta un intervento politico, ma tutta l’industria del risparmio necessita di una coraggiosa manovra che sfiora una attività di volontariato senza scopo di lucro, che abitui ad immaginare una diversificazione abbandonando i preconcetti e tutto ciò che riviene dal passato. Partendo dalla considerazione che tutto si sta rapidamente trasformando per l’effetto della globalizzazione che ha sconvolto qualunque precedente equilibrio. Andranno così ridisegnate nuove regole, si creeranno nuovi mercati in funzione di significative mutazioni demografiche, nasceranno nuove economie, la solidarietà e la ricerca vivranno una nuova vita, l’arte e la cultura in generale avranno sempre più valore, l’università e la finanza si trasformeranno e si svilupperà un nuovo turismo.
Quella che sembrava una interminabile crisi porterà un nuovo benessere, diversamente distribuito e con un rinnovamento che provocherà profondi cambiamenti. Si può allora continuare ad investire in maniera proficua solo su quelle aziende che hanno prodotto enormi utili nel recente passato? La risposta appare assai scontata dopo le premesse precedenti.
E sulla carta sfruttando la capacità delle medie e piccole imprese che hanno reso famoso nel mondo il “Made in Italy” unita ad una migliore gestione del risparmio basterebbe davvero poco per mettere a profitto e rendere più competitivo il nostro Paese. Non significherà trasformare i risparmiatori in “esperti dei mercati”, ma far acquisire una consapevolezza che genererà conseguentemente valore e nuove prospettive.
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