I veri numeri sulla guerra commerciale Usa-Cina e la prossima scadenza

I veri numeri sulla guerra commerciale Usa-Cina e la prossima scadenza

Si fa presto a parlare di guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Vediamo di dipanare un pò il bandolo della matassa

Lo scontro commerciale fra Stati Uniti e Cina, che i media hanno quasi subito ribattezzato come “guerra” ha radici lontane. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dichiarato nella sua campagna di voler sistemare "l’abuso di lunga data della Cina del sistema internazionale che non funziona, come è oggi, e delle sue pratiche sleali" (il cosiddetto dumping ).

Le dispute economiche si sono verificate prima dell’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (avvenuto nel 2001), ma gli ex presidenti George H. W. Bush, Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama non sono riusciti a risolvere questi problemi.

Le promesse di Donald Trump

Nel giugno 2016, come candidato presidenziale, Donald Trump ha promesso di annullare gli accordi commerciali internazionali e di andare all’offensiva contro le pratiche economiche cinesi.

Meno di un anno dopo il suo insediamento, gli Stati Uniti, l’Unione europea ed il Giappone hanno accettato di lavorare all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e di altri gruppi multilaterali per eliminare le sovvenzioni sleali dei paesi, che creano condizioni non competitive attraverso le imprese statali e, soprattutto, i trasferimenti tecnologici "forzati".

Nell’aprile 2018, Trump ha negato che la disputa fosse in realtà una guerra commerciale, dicendo che quella “guerra” era già stata persa molti anni prima, da chi aveva rappresentato male gli interessi americani. Le azioni intraprese dall’amministrazione USA, dopotutto, erano già entrate nel vivo, soprattutto dopo la critica al WTO (di cui gli USA sono il primo contributore) di avere sistemi decisionali lenti ed inefficienti.

Il primo giro di dazi commerciali

All’inizio di marzo il presidente Trump ha imposto dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. A fine mese sempre Trump ha chiesto al Rappresentante commerciale degli Stati Uniti (USTR) di indagare sull’applicazione di dazi a beni cinesi da 50 a 60 miliardi di dollari. La Cina ha risposto, agli inizi di aprile 2018, imponendo tariffe su 128 prodotti importati dall’America, tra cui alluminio, aeroplani, automobili, carne suina e soia (che hanno dazi del 25%), oltre a frutta, noci e tubazioni in acciaio (15%).

La seconda tranche di dazi commerciali

Il 5 aprile 2018, Trump ha risposto dicendo che stava prendendo in considerazione un altro giro di dazi su ulteriori $ 100 miliardi di importazioni cinesi mentre Pechino si stava “vendicando”. Verso la fine di maggio i funzionari cinesi hanno accettato di "ridurre sostanzialmente" il deficit commerciale americano con la Cina impegnandosi a "aumentare in modo significativo" i propri acquisti di beni americani. Ovviamente, niente fu fatto in tal senso.

Di conseguenza, la Casa Bianca ha annunciato a fine mese che avrebbe imposto dazi del 25% su 50 miliardi di dollari di beni cinesi con "tecnologia industrialmente significativa"; ha anche pianificato di imporre restrizioni agli investimenti e controlli rafforzati delle esportazioni su determinati individui e organizzazioni cinesi per impedire loro di acquisire la tecnologia degli Stati Uniti.

Da allora l’imposizione di dazi tra le due superpotenze economiche è andata avanti, ma sono da notare, ad oggi, due punti importanti:

  • Il deficit commerciale degli USA con la Cina (cioè quanto importa l’America dalla nazione asiatica rispetto a quanto vi esporta) è ad oggi pari a 323,32 miliardi di dollari. Ciò vuol dire che l’America può imporre dazi su molte più merci rispetto a quanto possano fare i cinesi che, infatti, hanno esaurito la loro quota;
  • Gli Stati Uniti hanno la valuta usata in tutto il commercio mondiale, cioè il dollaro. La Cina questo lo sa bene e, proprio per questo, da molto tempo non permette che la propria valuta, il renmimbi/yuan, vada oltre una certa banda di fluttuazione che la Banca Centrale Cinese decide ogni giorno (e questa cosa che ovviamente non piace agli USA, ha spesso rischiato di far definire i cinesi come “manipolatori di valuta”).

Ad oggi gli Usa hanno deciso di sospendere altri 200 miliardi di dollari di dazi sulle merci cinesi, posticipando questo nuovo round a marzo. Durante una cena al vertice del G8 del 2018 a Buenos Aires, Donald Trump e Xi Jinping avevano concordato di ritardare i loro previsti aumenti dei dazi per 90 giorni, a partire dal 1 ° dicembre, per consentire ai due paesi di negoziare le loro dispute commerciali.

Proprio in questi ultimi giorni, infine, Trump ha deciso, visto che sembra proprio che la situazione sul commercio si stia sboccando verso qualcosa di positivo, di posticipare, pare a tempo indefinito, questi dazi.

Cosa succederà adesso?

Nessuno può dirlo con certezza, ma è di ogni evenienza che entrambe le parti devono portare a casa un qualche risultato che non sia meramente mediatico. Sebbene la durata della proroga non sia ancora stata specificata, ci si aspetta un ritardo di almeno due mesi, con la probabilità di ulteriori progressi sostanziali dopo il previsto incontro tra il presidente Usa e il presidente cinese Xi Jinping nella seconda metà di marzo in Florida.

Due importanti fattori, probabilmente, stanno incentivando entrambe le parti a raggiungere un accordo:

  • Dal punto di vista della Cina la guerra commerciale con gli Stati Uniti ha inflitto gravi danni alla crescita, soprattutto perché questa disputa si è aggravata in un momento in cui la riduzione della leva economica era il principale obiettivo politico;
  • Dal punto di vista degli Stati Uniti, la guerra commerciale ha portato alla luce i sospetti di vecchia data riguardo alle ambizioni a lungo termine della Cina nei confronti di alcuni stakeholder in materia di sicurezza. Nel breve termine, le elezioni presidenziali americane dell’anno prossimo, e la necessità del presidente Trump di una narrazione praticabile sullo sfondo di un Congresso diviso, sono importanti incentivi per la risoluzione a breve termine della questione da parte degli americani. È probabile che questa risoluzione a breve termine sarà probabilmente incentrata sulle partite correnti, dato il pensiero transazionale del presidente americano.

Proprio per questo motivo ci si attende che una risoluzione più concreta, anche se dovesse durare soltanto fino alle prossime elezioni presidenziali americane, venga approvata entro la primavera.


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