L’Argentina non è la Turchia: la crisi è gestibile

L'Argentina non è la Turchia: la crisi è gestibile

La situazione è grave ma non irreversibile. La crisi Argentina, che preoccupa opinione pubblica e investitori, può essere gestita.

Ne sono convinti Rob Drijkoningen e Gorky Urquieta, rispettivamente Senior Portfolio Managers e Global Co-Heads of Emerging Markets Debt di Neuberger Berman, che analizzano la situazione del Paese alla luce delle ultime vicende economiche e finanziarie che hanno destabilizzato i mercati.

Il rischio di un default come nel 2011 resta lo spettro più preoccupante, ma i due analisti ritengono che l’attuale crisi sia gestibile, anche grazie alle riforme che il presidente Mauricio Macri sta mettendo in campo.

La crisi attuale è un déjà vu?

Inutile negare che l’attuale crisi che sta attraversando l’Argentina riporta alla mente il tracollo finanziario del 2011 e preoccupa investitori e opinione pubblica. La situazione al momento è grave: la moneta argentina continua a perdere valore rispetto al dollaro statunitense, il cui rafforzamento, negli ultimi due mesi, sta mettendo “sotto pressione gli asset dei mercati emergenti”. Preoccupa anche l’inflazione che galoppa intorno al 25% e l’aumento dei tassi al 40%.

Inoltre, a rendere il Paese sempre più vulnerabile hanno contribuito:

“dichiarazioni poco rassicuranti, il mancato coordinamento, le politiche sbagliate e gli interventi troppo lenti della Banca centrale argentina.”

Istituto, quest’ultimo, che avrebbe perso in termini di reputazione e che sarebbe stato giudicato da alcuni non indipendente.

L’intervento dell’Fmi

Secondo gli analisti, quello che sta vivendo attualmente l’Argentina è un periodo di assestamento: il presidente Macri ha il merito di aver avviato cambiamenti significativi oltre che riforme politiche pluriennali che produrranno significativi benefici all’economia, visibili però non nell’immediato.

Intanto, per fronteggiare la situazione, il governo ha messo in campo “iniziative concrete e rassicuranti”, riducendo al 2,7% (mezzo punto in meno) il proprio rapporto di indebitamento di bilancio e ricorrendo a un prestito da 2 miliardi di dollari presso la Banca dei regolamenti Internazionali.

Di recente, inoltre, Macri ha chiesto l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale per aprire una trattativa sul debito.

“Ho deciso di intavolare alcune discussioni con l’Fmi perché ci accordi un sostegno finanziario. Si tratta dell’unico cammino da intraprendere per uscire dallo stallo e per cercare di evitare una grave crisi economica che ci riporterebbe indietro”

aveva spiegato qualche giorno fa il presidente.

Una scelta che, secondo i due esperti,

“sottolinea le credenziali tecnocratiche del governo Macri, poiché in termini politici comporterà molto probabilmente un costo notevole”.

In effetti, secondo alcuni sondaggi citati dalla stampa, sembrerebbe che il 75% del popolo argentino non sarebbe d’accordo all’intervento dell’Fmi.

Crisi gestibile

I segnali di una possibile ripresa, ovviamente non immediata, ci sono. Intanto, si legge nel documento,

“l’indebitamento dell’Argentina è relativamente contenuto (poco più del 50% del PIL). La settimana scorsa, il rollover dei LEBAC è stato portato a termine con un tasso di interesse del 40%, inferiore a quello richiesto dal mercato secondario. A ciò si è aggiunto il successo dell’emissione di obbligazioni in valuta locale a cinque e otto anni, per un valore di circa 3 miliardi di dollari”.

Insomma, sembra che gli investitori siano più ottimisti e che stiano tornando a credere che il Paese sia in grado di gestire la crisi. Ottimisti sono gli stessi analisti, che ritengono Macri capace di attuare le riforme di cui l’Argentina ha bisogno prima della scadenza del mandato, nel 2019: fino alle prossime elezioni, ci sarà tutto il tempo necessario raccogliere i frutti della sua politica.

“Se le riforme rispetteranno la tabella di marcia, a trarne beneficio saranno alcuni importanti settori, in particolare quelli del petrolio, delle utility e del gas naturale, dove i prezzi sono in corso di liberalizzazione e dove vengono offerte concessioni per soddisfare la domanda di energia elettrica”.

Più prudenza, infine, nella valutazione del mercato valutario locale che

“rimane vulnerabile ad eventuali shock futuri, poiché gli investitori in valuta locale sono particolarmente attenti agli impatti di breve termine sui propri portafogli”.


Fonte: https://www.money.it/L-Argentina-non-e-la-Turchia-la

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