Welfare aziendale: i vantaggi di convertire i premi produttività in forme previdenziali complementari

Welfare aziendale: i vantaggi di convertire i premi produttività in forme previdenziali complementari

La Legge Finanziaria 2017 e la circolare 5/2018 dell’Agenzia delle Entrate consentono ai lavoratori di convertire i premi legati alla produttività in un piano di welfare aziendale complementare. I vantaggi di questa decisione ricadono sia sul dipendente che sul datore di lavoro. Vediamo quali sono

Con l’espressione “fringe benefits” sono indicati quegli elementi remunerativi complementari alla retribuzione principale che consistono nella concessione in uso di beni o nell’erogazione di servizi da parte del datore di lavoro a favore dei dipendenti e che sono assoggettati a particolari e diversi regimi d’imposizione fiscale e contributiva.

Grazie alla Legge Finanziaria 2017 e alla circolare 5/2018 dell’Agenzia delle Entrate, i fringe benefits possono essere erogati anche all’interno di un piano di “welfare aziendale” e godere, in questo modo, d’importanti agevolazioni fiscali.

Rinviando a un successivo approfondimento le caratteristiche di un piano di welfare aziendale unilaterale, vogliano con quest’articolo analizzare la conversione del “premio di produttività”, integralmente o in parte, in welfare aziendale come contributo a una forma di previdenza complementare.

Al lavoratore che sceglie di convertire il premio di produttività in contributi alla previdenza complementare (Fondo pensione e/o PIP) sono riconosciuti i seguenti vantaggi fiscali:

  • superamento del limite di deducibilità all’atto del conferimento
  • esenzione da imposta all’atto dell’erogazione delle prestazioni
  • esenzione integrale da imposizione previdenziale

La conversione del premio di produttività con il versamento di contributi a forme di previdenza complementare garantisce al lavoratore la loro integrale non imponibilità a fini fiscali, anche se l’ammontare degli stessi è superiore al plafond di deducibilità previsto (5.164,57 euro annui).

In sintesi, quindi, un lavoratore che decide di destinare il proprio premio di produttività, sino al limite di 3.000,00 euro, potrà dedurre un importo complessivo di 8.164,57 euro, pari alla somma tra il limite di 5.164,57 euro e la somma del premio convertito.

Un ulteriore aspetto da considerare è quello relativo a un lavoratore di prima occupazione che abbia iniziato l’attività lavorativa dopo il 14 dicembre 2005.

Nella fattispecie il decreto n. 252/2005 stabilisce che un lavoratore di prima occupazione, limitatamente ai primi cinque anni di adesione a una forma di previdenza complementare può “recuperare” l’eventuale mancato beneficio fiscale nei vent’anni successivi.

Facciamo un esempio per comprendere meglio: un soggetto che abbia iniziato a lavorare nel 2009 e che s’aderisca a una forma di previdenza complementare versando mille euro all’anno avrà beneficiato di una deduzione totale pari a 5.000 euro. Avrebbe però potuto dedurre un importo complessivo pari a 25.822,85 euro (5.164,57 x 5). In questo caso la mancata deduzione è pari a 20.822,85 euro che può essere dedotta nei 20 anni successivi al quinto, con il limite di 2.582,29 euro annui beneficiando in questo modo di una deducibilità annua pari a 7.746,86 in luogo di quella prevista dalla normativa, ovvero 5.164,57.

Se questo lavoratore scegliesse poi di convertire un premio di produttività pari a 3.000,00 euro in welfare aziendale e destinarlo a una forma di previdenza complementare potrebbe usufruire di una deduzione annua di 10.746,86 euro.

L’eventuale conversione del premio di produttività in welfare aziendale ha effetti positivi anche sull’impresa la quale beneficerà non solo della deducibilità ai fini IRES del premio erogato ma anche dell’esenzione da contribuzione previdenziale, restando invece dovuto il solo contributo di solidarietà del 10%.

Per ulteriori approfondimenti consultare il sito infoprevidenza.it.


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